domenica 29 aprile 2012

Creuza -de- ma Fabrizio De Andrè(in lingua zeneize)piccole stradine di mare

Fabrizio De André - "Don Raffa è"un ligure che non possiamo scordare

gente di liguria



        

Gente della Liguria

E' bene sapere che :

I liguri hanno fama di burberi e di avere un carattere duro, più congeniale ai montanari che ai marinai, di solito più aperti e disponibili.
E in effetti il loro rapporto con il mare, seppure di grande rispetto, è in genere di timore e diffidenza. " 
miga pè ninte u ciaman mà " (mica per niente lo chiamano mare) è la loro filosofia, condensata in questo proverbio genovese dove la parola chiave è "  ", che in dialetto significa appunto "mare" ma anche "male". Navigatori per necessità, insomma, più che per vocazione.
C'è invece un grande attaccamento alla terra, aspra e prodiga di frutti come l'uva che dà deliziosi vini e le olive la cui spremitura produce un olio sublime.
E' da questo stretto e colorato "arco" fatto di monti, rocce e radure, di vigneti a terrazzo e da boschi e uliveti, che nasce l'orgoglio ligure della propria appartenenza, è un sentimento che deborda spesso però in municipalismi e in forti rivalità tra paesi, città, province.
Non è un caso che molti " 
zeneizi " (genovesi) chiamino ancora la loro città La Superba, come al tempo della Repubblica Marinara, e non vedano di buon occhio i loro " vicini ", per esempio di Chiavari o Savona, i quali per altro ricambiano questo sentimento con altrettanto affetto.
Scontrosità, anche con i forestieri, e la proverbiale tirchieria sono altri due presunti difetti dei liguri.
Il primo però sembra un luogo comune: chi trascorre le vacanze in Liguria è, generalmente, ben accolto, non si pente di esserci stato e ci ritorna molto volentieri.
Il secondo, invece, è un "neo" impossibile da smentire, anzi è quasi un "modus vivendi " da Portovenere a Ventimiglia.
Diciamo che per un ligure i denari, le "palanche", sono come i sentimenti: vanno spesi con accortezza.
Avari, dunque? O piuttosto "risparmiatori"? Dipende dai punti di vista. In proposito si dice che le finte finestre, i "trompe-l'oeil" di bugnature e stucchi sulle facciate dei palazzi, elementi decorativi diffusi in molte località della Liguria, siano uno stratagemma per evitare le.....imposte e risparmiare, con il fisco e sul costo dei lavori.
Ma forse è solo per il gusto di essere originali.
I liguri inoltre parlano poco, semmai sentenziano, talvolta scetticismo e ironia. Come gli inglesi, dunque, hanno un forte senso dell'umorismo: riescono a trasformare così un difetto in un pregio poco comune.
E le altre qualità? La schiettezza, innanzitutto. E poi i liguri sono grandi lavoratori, anche perché, si sa, il tempo è denaro e allora non va sprecato in attività non remunerative.
Tirchieria a parte, a Genova ammirare le bellezze del centro storico dall'alto non costa nulla.
Come fare ? Salite sugli " 
ammiadoi " [da ammià (guardare)], i terrazzini in cima ai tetti dei palazzi più antichi del "ventre" della Superba: sono piccoli spazi circondati da ringhiere e vasi di gerani e basilico.
Da lì potete abbracciare panorami unici che comprendono mare e montagne, porto, piazzette, i tipici " 
carruggi " (vicoli) e le tegole di ardesia dei tetti delle case.
L'unico inconveniente è farsi a piedi sei-sette piani di scale.
Sempre più rare , ma inconfondibili , a Genova e in altre città liguri, sono le friggitorie vicino al porto: chioschetti rivestiti di piastrelle bianche e unte dove si possono gustare i "
friscieu" (panzerotti con crema di ceci), frittelle di baccalà, torta pasqualina, totani fritti, castagnaccio e l'immancabile farinata di ceci.
E ancora, negli indirizzi troverete spesso accanto al numero civico la lettera "
r": si riferisce al color rosso che indica sempre: esercizi pubblici o commerciali. 



Un dialetto "birichino"

" Belin " è un intercalare diffuso nel dialetto dei liguri. Il termine, piuttosto colorito, è usato invece di "perbacco" o "accidenti".
" 
Belin ", dunque, è un'esclamazione tipicamente ligure che ha suoi equivalenti nelle altre regioni.
In Liguria è assai usato pure " 
Belinate " che sta per "stupidaggini".
Un dialetto alquanto espressivo quello ligure e influenzato dal provenzale nella Riviera del Ponente, dal Toscano-Lunigiano nella Riviera del Levante, dal genovese nella Superba (capoluogo) e nella zona centrale.
Ma le differenze sono sfumate.
Forte invece è la similitudine tra il genovese ed il portoghese: articoli e preposizioni si pronunciano nelle due lingue allo stesso modo, come pure molte parole tra cui "palanca" (moneta) e tacagno (avaro).
 

Mutanza di "Belin"

BelinunBelinaBelinateBelinoneAbelinato,

"Belinrappresenta l‘imprecazione, l‘esclamazione più usata nel dialetto genovese, potendo assumere tono affermativo, risentito, solenne, stupito, iroso, sconsolato, beffardo, e altro ancora.
Sono i principali sinonimi di 
Belin e ad essi rimandiamo: Affare,Anghilla, Canäio, Cannocciale,Cantabrûnn-a, Carottua, Cicciollo, Manûbrio, Nenne, Pigneu, Pistolla, Pinfao, Radiccia, Sûc

mercoledì 25 aprile 2012

dipendenza da internet




Il test è tratto da YOUNG S. Kimberly, Presi nella rete. Intossicazione e dipendenza da Internet, Calderoni edagricole, Bologna, 2000, pp. 18 -20


"Per determinare il livello della vostra dipendenza rispondete alle seguenti domande dando un punteggio alle vostre risposte in base a questa scala:
• 1 = mai
• 2 = raramente
• 3 = ogni tanto
• 4 = spesso
• 5 = sempre

1. Quante volte vi siete accorti di essere rimasti on line più a lungo di quanto intendevate?
2. Vi capita di trascurare le faccende domestiche per passare più tempo on line?
3. Vi capita di preferire l'eccitazione offerta da Internet all'intimità con il vostro partner?
4. Vi capita di stabilire nuovi rapporti con altri utenti on line?
5. Accade che le persone attorno a voi si lamentino per la quantità di tempo che passate on line?
6. Accade che i vostri studi risentano negativamente della quantità di tempo che passate on line?
7. Vi capita di controllare la vostra e.mail prima di fare qualche altra cosa importante?
8. La vostra resa sul lavoro o la vostra produttività sono influenzate negativamente da Internet?
9. Vi capita di stare sulla difensiva o di minimizzare quando qualcuno vi chiede cosa fate on line?
10. Quante volte vi ritrovate a scacciare pensieri negativi sulla vostra vita con il pensiero consolatorio di Internet?
11. Vi capita di scoprirvi a pregustare il momento in cui andrete nuovamente on line?
12. Vi succede di temere che la vita senza Internet sarebbe noiosa, vuota e senza gioia?
13. Vi capita di scattare, alzare la voce o rispondere male se qualcuno vi disturba mentre siete collegati?
14. Perdete ore di sonno perché restate alzati fino a tardi davanti al computer?
15. Vi capita di concentrarvi col pensiero su Internet quando non siete al computer, o di fantasticare di essere collegati?
16. Vi capita di scoprirvi a dire “ancora qualche minuto e spengo”quando siete on line?
17. Avete già tentato di ridurre la quantità di tempo che passate on line senza riuscirvi?
18. Cercate di nascondere quanto tempo passate on line?
19. Vi capita di scegliere di passare più tempo on line anziché uscire con gli altri?
20. Vi capita di sentirvi depressi, irritabili o nervosi quando non siete collegati, mentre state benissimo quando siete nuovamente davanti al computer?

Dopo aver risposto a tutte le domande, fate la somma delle cifre assegnate ad ogni risposta per il vostro punteggio. Più alto è il punteggio, maggiore è il livello di dipendenza e più numerosi i problemi causati dall'abuso di Internet. Questa scala vi aiuterà a misurare il vostro punteggio:

20 – 39 punti: siete utenti ‘normali' A volte vi può capitare di navigare in rete un po' troppo a lungo, ma avete il controllo della situazione

40 – 69 punti: avete già diversi problemi a causa di Internet. Dovreste soffermarvi a riflettere sull'impatto di questa tecnologia nella vostra vita.

70 – 100 punti: il vostro abuso di Internet sta causando problemi notevoli nella vostra vita. È opportuno che li affrontia

lunedì 23 aprile 2012

Tutti gli anni il 25Aprile apre in me una ferita di quelle 
che ti rimane la cicatrice senza vedere i punti di s'ottura
Essa è come i numeri che venivano pressi nelle braccia dei prigionieri dei lagher.
la fila di baracche dove io sono nata  aveva lo stesso schema di un campo 
di concentramento,si viveva in promiscuità tra altre famiglie, 
mi ricordo che molto spesso non sapevo chi era mia madre perché una donna valeva l'altra. 
L'arte di arrangiarsi per potersi sfamare era una priorità
e grazie ai rifiuti dei tedeschi io sono arrivata all'età di 6anni
il rifugio con il paglia-riccio e i suoi amici pidocchi era il mio riposo, ricordo il freddo e la pioggia che filtrava dalle fessure di legno, noi bambini avevamo il compito quando pioveva di svuotare l'acqua piovana raccolta da bidoni.
Finita la guerra è finito l'incubo ma no la povertà, Genova città decorata con la Medaglia d'oro alla resistenza, era ridotta in macerie, quel giorno dove si uccideva casa per casa fra fascisti e partigiani noi bambini spogliavamo i morti per portaci vestire.
Vi vissi nelle baracche fino al 1952gli anni della mia infanzia.
fino a quando il comune ci diede una casa.
Il piazzale dove erano le baracche è tornato alle cronache il 4 Novembre scorso per via della alluvione Piazzale Adriatico

25 Aprile finisce un incubo durato 5anni

martedì 17 aprile 2012

settimana della cultura palazzo reale a mio avviso il più bello


introduzione
Quello che chiamiamo oggi Palazzo Reale è in realtà una grande dimora patrizia edificata, accresciuta nel tempo e decorata con splendore, oltre che dai Savoia nell’Ottocento, da due grandi dinastie genovesi: i Balbi (che lo costruirono tra il 1643 ed il 1650) e i Durazzo (che lo ampliarono tra la fine del Seicento e l’inizio del secolo successivo).
Il palazzo è forse il più vasto complesso architettonico sei-settecentesco a Genova che abbia conservato intatti i suoi interni di rappresentanza, completi sia delle decorazioni fisse (affreschi e stucchi) sia di quelle mobili (dipinti, sculture, arredi e suppellettili).
Le volte dei salotti e delle gallerie sono affrescate da alcuni dei nomi più importanti della decorazione barocca e rococò. Tra gli oltre cento dipinti esposti nelle sale si trovano opere dei migliori artisti genovesi del Seicento insieme a capolavori dei Bassano, Tintoretto, Luca Giordano, Anton Van Dyck, Ferdinand Voet e Guercino.
La visita comprende l’atrio monumentale con stucchi settecenteschi, il cortile d’onore, il giardino pensile e l’appartamento nobile al secondo piano con scenografici ambienti di rappresentanza quali la Sala del Trono, il Salone da Ballo e la Galleria degli Specchi.
Previa prenotazione è inoltre visitabile l’Appartamento dei Principi Ereditari detto anche del Duca degli Abruzzi fatto allestire dai Savoia al Primo Piano Nobile del palazzo: questo mirabile esempio di appartamento reale conserva ancora intatti arredi, tessuti e decorazioni ottocenteschi. 
Sala delle Udienze
Galleria della Cappella
Veduta aerea
Mosaico giardino
Salotto del tempo
Cappella domestica


I Balbi
La vicenda storica del palazzo ebbe inizio il 4 febbraio 1643 quando Stefano Balbi (1581-1660), abile finanziere e protagonista dell’apertura della nuova strada, che dal nome della sua famiglia sarà poi ricordata, presentò il progetto per l’imponente fabbrica che sarebbe sorta di fronte alla chiesa di San Carlo. Gli architetti ricordati dalle fonti sono Pier Francesco Cantone e Michele Moncino, ai quali si unì, in seguito Giovanni Angelo Falcone.
L’impianto secentesco della costruzione era allora limitato all’attuale corpo centrale, articolato come oggi in due piani nobili e tre ammezzati, con due brevi ali che stringevano il cortile d’onore verso il mare, e alla manica occidentale unita al corpo principale. Per la decorazione delle sale furono chiamati non solo alcuni degli artisti più apprezzati sulla scena genovese come Giovan Battista Carlone, insieme a giovani di grande ingegno come Valerio Castello, ma anche i bolognesi Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli. 
I Balbi hanno origini umili. Nel XIV secolo sono piccoli artigiani in Valpolcevera e hanno ancora un nome umile: si chiamano Cepollina. Poi tra Quattro e Cinquecento la seta fa fare loro il grande salto che li porterà con la rivoluzione Doriana, all’ascrizione alla nobiltà nell’Albergo dei Pinelli, nome che si impegnano ad associare al proprio fino al 1575. Seguirà così l’evoluzione dei Cepollina in Cepollina-Pinelli, o già Balbi-Cepollina, a semplicemente Balbi, forse in ricordo dei tre pesci, i barbi, che apporranno sullo stemma di famiglia, di cui il torrente delle loro origini era ancora pieno. La famiglia divenne una delle più importanti della città, con il passaggio cruciale dallo status di imprenditori tessili e mercanti di stoffe pregiate a quello di uomini dediti all’esercizio della finanza. Scorrendo i libri mastri della compagnia Balbi, impressiona la mole e la complessità delle sue attività in qualità di finanziatore del Ducato di Milano negli anni dei Governatori spagnoli e il suo ruolo dominante tra i grandi banchieri “di conto” del vecchio continente.
Valerio Castello 
(Genova 1624-1659)
Allegoria della Fama
Affresco
Anticamera del Duca
di Genova

Anton van Dyck 
(Anversa 1599-Londra 1641)
Ritratto di Caterina Balbi 
Durazzo, 1624
Olio su tela, 220,2 x 149 cm
Sala delle Udienze


I Durazzo
Eugenio Durazzo (1630-1706) acquistò il palazzo nel 1679 e si può considerare il principale artefice dell’estensione della fabbrica verso levante che mutò drasticamente il suo aspetto primitivo. I nuovi lavori edilizi relativi alla costruzione dell’ala orientale, compresero anche la decorazione unitaria della lunga facciata su Strada Balbi. Della decorazione interna risalente alla fase Balbi restano oggi limitate tracce all’interno dell’edificio: la maggior parte delle sale sarà infatti decorata ex novo dai Durazzo. A Eugenio va anche ascritta la ricostruzione dell’antico teatro del Palazzo, detto Teatro del Falcone, che era andato distrutto in un incendio nel 1702.
Alla morte di Eugenio, il nipote Gerolamo Ignazio si occuperà di soprintendere ai lavori di ampliamento e decoro dell’edificio nella prima metà del Settecento. Il palazzo assunse in questa fase l’articolazione e l’organizzazione scenografica, che in parte possiede tuttora, con la costruzione dei due corpi scala, del grande terrazzo a U e dell’ampliamento del cortile d’onore. A detta di Ratti, che scrive nel 1766, fu l’architetto Carlo Fontana, chiamato da Roma da Eugenio poco prima di morire, l’autore del nuovo progetto. Risale a questa fase la realizzazione della nuova Galleria degli Specchi, per la quale vennero presi come modelli d’esempio le grandi gallerie dei Palazzi Colonna e Doria Pamphilj a Roma e specialmente la Galerie de Glaces, della reggia di Versailles.
Il palazzo fu venduto nel 1824, forse per via della crisi economica che aveva notevolmente ridotto le risorse della famiglia; è noto che il primo ad interessarsi all’acquisto fosse stato Napoleone Bonaparte: nel 1808 fu redatto infatti un rapporto da funzionari dell’Imperatore che metteva in luce i pregi della dimora di via Balbi, già quindi disponibile alla vendita.

Originari probabilmente dell’Albania e documentati a Genova dal XIV secolo, furono protagonisti di una rapida ascesa che li portò, nel 1528, all’iscrizione nel libro d’Oro della Nobiltà nell’Albergo dei Grimaldi e quindi, già nel 1573, alla più alta carica della Repubblica. La loro storia è simile, per molti versi, a quella di altre famiglie accolte, all’inizio del Cinquecento, nell’oligarchia cittadina. Caratterizzata da origini umili e da una lunga attività nella lavorazione e nella produzione della seta, la famiglia entrò poi nel mondo del commercio e della finanza ed ebbe accesso a importanti cariche pubbliche.
Se per il patriziato genovese il Settecento è un secolo di declino, per i Durazzo rappresenta il secolo dell’apogeo. E’ questo il periodo che vede il patrimonio della famiglia ai primi posti tra i più cospicui della città. Ai notevoli mezzi finanziari si affiancava il potere politico, al punto che Genova nel 1737 può essere definita come la “Repubblica dei Durazzo”. Sarà la Rivoluzione Francese e il crollo della Repubblica Oligarchica a decretare la fine di quel lungo periodo di prosperità.
Jacob Ferdinand Voet
(Anversa 1639 - Parigi 1689)
Ritratto di Giovanni Luca Durazzo
1675-1685
Olio su tela, 76.5 x 62 cm
Salottino Giallo
Domenico Parodi
(Genova 1672-1742)
Ritratto di gentiluomo 
di Casa Durazzo con parrucca
1705 circa
Olio su tela ovale, 89 x 64,5 cm
Bagno della Regina


I Savoia
Il 10 Maggio del 1816, Giuseppe Cardone, architetto ispettore del Reale Demanio per il re di Sardegna Vittorio Emanuele I, redasse una relazione per l’individuazione di un Palazzo Reale a Genova, annessa due anni prima al Regno di Sardegna. L’ex Palazzo Durazzo fu acquistato ufficialmente solo otto anni più tardi, nel 1824, anche se già nel 1822 furono trasportati in via Balbi i beni “della casa di sua Maestà” che si trovavano in un appartamento provvisoriamente allestito nel Palazzo Ducale. Furono subito previsti nuovi, importanti lavori di restauro, di decorazione, manutenzione e adattamento agli appartamenti al nuovo uso. Nel 1831, alla morte di Carlo Felice, il Palazzo passò a Carlo Alberto, settimo principe di Carignano e nuovo re di Sardegna: sotto il periodo albertino viene conclusa la maggior parte dei lavori di adattamento dell’edificio alla nuove funzioni, già progettata durante il regno di Carlo Felice: realizzazione di nuove scuderie e del maneggio, allestimento della Sala del Trono, della Sala della Udienze, del Salone da Ballo, di un appartamento nobile al primo piano e costruzione del passaggio coperto che univa la reggia su via Prè e alla Regia Darsena, scavalcando con un ponte la strada carrabile. Nel secondo piano nobile nell’ala di levante furono allestiti gli appartamenti del Re e della Regina, mentre l’ala di ponente fu destinata ad appartamento per il secondogenito del sovrano Ferdinando Duca di Genova. Gli artisti chiamati dai Savoia a decorare i nuovi ambienti erano tra i più rispettati professori della locale Accademia Ligustica: Michele Canzio, Santo Varni, Giuseppe Frascheri, Cesare Michele Danielli e Giuseppe Isola. Nel 1821 Carlo Felice aveva acquistato un importante raccolta di dipinti da un privato collezionista genovese, che era servita in gran parte a colmare le lacune della quadreria causate da alienazioni volute dagli ultimi eredi Durazzo e da trasferimenti di prestigiosi esempi di pittura a Torino, ordinati dallo stesso dallo stesso Carlo Felice e in special modo da Carlo Alberto.
Nel 1919 Vittorio Emanuele III cederà il Palazzo allo Stato Italiano.

Giovanni Vacca
(Torino 1787-1839)
Ritratto di Carlo Felice,
re di Sardegna,
 1821
Olio su tela, 115 x 86 cm
Appartamento dei Principi
Ereditari, Anticamera
Camillo Pucci
(Sarzana, La Spezia,
1802-1869)
Ritratto di Carlo Alberto,
re di Sardegna

1834
Olio su tela, 270 x 220 cm


dal 1922
Dal 1922 l’ala occidentale del primo piano nobile ospita la Soprintendenza ai Monumenti della Liguria, oggi Beni Architettonici e Paesaggistici della Liguria, alla quale in seguito si aggiungeranno quella per i Beni Artistici e Storici e quella Archeologica.
Dalla stessa data il secondo piano nobile, da sempre piano di rappresentanza, diventa un museo aperto al pubblico. I bombardamenti del 1944 colpiranno il settecentesco Teatro del Falcone, ricostruito nei primi anni Cinquanta con una struttura completamente nuova, e il giardino pensile. L’attuale pavimentazione del giardino, realizzato con la tecnica a risseu, fu qui ricomposto dopo la demolizione del monastero delle monache turchine di Castelletto, per il quale fu originariamente creato. La realizzazione, nel 1964, della strada sopraelevata coinvolgerà l’abbattimento del “ponte reale” voluto dai Savoia p