scritto da francesca il 10 11 2014
Nella vita si ha un DNA anche per le
predisposizioni lavorative.
Già da bambina sentivo un grande trasporto nei
confronti dei bisogni della gente, non sapevo che cosa era quello che sentivo
dentro di me, ma so che ero felice se potevo rendermi utile.
Così molto spesso mi trovavo in situazioni più grandi di
me, prendendomi anche delle belle sgridate. ” Fatti i fatti tuoi”, era la frase che spesso mi sentivo dire, insomma passavo
come una ficcanaso.
Nel lontano 1958 entrai come inserviente nella
grande cucina del Gaslini gestita da suore che della parola “amore “non
conoscevano neppure il significato.
Perciò tante furono le angherie che io subii(
niente caffè, sei stonata, messa alle 6,30 del mattino e poi ti davano la
brodaglia).
Eppure io ringrazio le loro angherie perchè da
un male ne è uscito un bene.
Mi facevano ruotare per sostituire persone
mancanti, perciò molto spesso mi ritrovavo in cucina dietetica. Qui ho imparato
a conoscere vari tipi di alimentazione indispensabili per le varie malattie, e
con la dietista pesavo al mg. gli ingredienti che servivano alle diete da
somministrare. E questo mi piaceva molto.
La dietista un giorno mi disse “Alba lei qui è
sprecata, la sua intelligenza merita altro, faccia il corso da
generica”.
A quei tempi il livello di istruzione era molto
inferiore ad oggi e per essere diplomate bastavano 2 anni di scuola superiore,
mentre per la generica era sufficiente la 5 elementare.
Avevo paura,erano anni che non prendevo la
penna in mano, ma soprattutto non avevo i soldi per i libri.
Tutto questo lei lo capì al volo, mi diede i suoi libri e
fece in modo che gli orari di lavoro coincidessero con la scuola. Non solo ma
mi ha aiutato anche a studiare.
Mi impegnai con grande forza di volontà, era
quello che io in fondo avevo sempre desiderato.
La sveglia era alle 5 del mattino e a causa della grande
lontananza casa- lavoro, la mia giornata terminava alle 23. Tutto questo durò un
anno.
Finché giunse il sospirato giorno che lessi in
bacheca: ” promossa con 59 su 60 sessantesimi”.
Non dimenticherò mai più la
prima volta che ho indossato la divisa e sono entrata in corsia.
Rubavo con gli occhi il lavoro, ascoltavo i medici in
visita, e leggevo molti trattati di medicina.
Dovevo essere pronta ad aiutare, il mio sangue freddo che
non perdeva lucidità nei momenti difficili, è stato il mio sostegno
reale.
Dopo anni, già mamma di due bambini Luigi e
Lia, mi iscrissi ad un corso di specializzazione in neuro psichiatria
pediatrica.
Mi affascinava la materia, così entrai nel più
brutto reparto che il Gaslini potesse avere, con bimbi convulsivi, microcefali,
idrocefali, malformazioni neonatali, ecc ecc.
La mia rabbia era la mia impotenza di fronte a
queste tremende patologie.
Molto spesso i miei piccini avevano tragedie
famigliari alle spalle, abbandonati a loro stessi e alla bontà di chi poteva
prendersene cura.
Poi se sei mamma la tua sensibilità aumenta.
Ricordo che di notte stiravo e lavavo i loro camicini indossati dai miei figli,
e siccome anche l’occhio vuole la sua parte, i piccini, così, sembravano meno
malati.
Rientrata in servizio dopo la terza figlia
Laura, mi innamorai di una bimba, Angelica. Aveva 12 mesi,due occhietti vispi,
mora e capelli ricci, era sana in assoluto ma aveva alle spalle vicissitudini
famigliari molto tristi e dolorose.
Era veramente proibito baciare i bambini ma lei
ne ha presi tanti, ma tanti di baci a “scrocco”, da me. Divenne la mia quarta figlia.
Dio sa quanto bene le ho voluto, ero riuscita
ad ottenere dei permessi dalla direzione sanitaria per portarmela a casa.
Visse con noi 6 anni finché la procura
minorile ce la tolse. L’ho cercata ovunque ma non l’ho mai più ritrovata. E’ un
pezzo di vita che manca a completare il mosaico del mio cuore.
Infermieri si nasce non si diventa.
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