domenica 24 agosto 2014
sabato 23 agosto 2014
al santuario dei cetacei
Insieme ai
miei nipotini Giulia di 9 anni (la milanese) e Diego di 7 e mezzo, partiamo per
una gita in mare: l’avvistamento dei cetacei nel mar Ligure, verso ponente, nel
cuore del Santuario dei Cetacei.
Pranzo al
sacco, zaino in spalla, come due marmotte felici, ridevano e
cantavano.
Ci siamo
imbarcati al Porto Antico, sulla motonave Azzurra come il cielo di quel giorno e
un sole spendente, i miei nipotini si guardavano attorno, era la prima volta che
salivano su una nave, leggevo nei loro occhi curiosità e
paura.
Si salpa la
prua prende il largo e piano piano la città sparisce, siamo al largo solo cielo
e mare
Dagli
altoparlanti si sente una voce che ti da il ben venuto a bordo, si presenta è la
biologa che ti farà una presentazione di cosa andremo a vedere, ti invita ad
entrare sotto coperta dove sono collocati dei video sui
cetacei.
Ma il bello
era vederli dal vivo e noi li aspettavamo.
La nave andava veloce e noi che eravamo seduti ci
voleva tutta, a non cadere
Avevano diviso la nave come fosse un orologio, la
prua era le 12 perciò a destra era ore pomeridiane, a sinistra ore
mattutine.
Questo perchè
dalla cabina di comando che era il posto più alto della nave, dove la visuale
era a 360 gradi ti indicavano dove erano i cetacei, noi dovevamo spostarci
secondo la direzione dell’ora.
Siamo in alto
mare solo cielo e acqua , Diego mi guarda io l’abbraccio capisco ha paura, Giulia la devo
tenere a freno.
Ecco un
grido generale Eccoli! Eccoli!
La guida biologa ci dice “sono stenelle” sempre
della famiglia dei delfini, simili nell’aspetto, dal corpo snello e
slanciato.
Il bello che
non era sola dietro di lei tanti piccoli, che mamma!
Altri surf-avano sulle onde regalando uno
spettacolo.
Eccolo!!!!!!!!!!!! è lui il delfino ore 9 e tutti
corriamo che meraviglia, saltava e si lasciava cadere di schiena, mandava dei
gridolini e i miei nipotini cercavano di imitarlo.
La nave si
ferma e noi gustiamo lo spettacolo ancora più bello 2 balenottere e infine un
capodoglio; è stato
emozionante perchè gli animali si sono visti nella loro grandezza, ma sopratutto
non dimenticherò il rumore del loro respiro, perchè credevo che non fosse
possibile sentirlo così bene.
Le immagini di
quelli animali rimarranno sempre nella mia memoria e per questo devo ringraziare
la biologa e tutto l’equipaggio.
Giulia e Diego, scesi a terra, camminavano con le
gambe larghe come i vecchi lupi di mare.
Ma la giornata non è finita dopo 5 ore di
navigazione ora si prende la metrò la più piccola che esiste in Europa, anche
questa per loro è una novità.
Bimbi che
vanno sempre in macchina ho voluto far provare l’emozione del treno, ed allora
forza ragazzi si parte in treno, “ma nonna io sono stanca” questa la voce di
Giulia (la comoda) Diego tace e cammina.
Mare, metrò, treno, bus, tutto in un giorno; alla
sera erano stracotti, ma felici. Doccia e nanna, non hanno voluto
mangiare.
Prima di
chiudere gli occhi un bacio alla nonna e un grazie per la bella
giornata.
Tursiope (Tursiops
truncatus)
Lunghezza massima: 3 metri
circa
Colorazione generale: grigio
scuro
Bocca: distinta
Pinna dorsale:
aguzza
Profilo: tozzo
Delfino
costiero
Capodoglio (Physester
catodon)
Lunghezza massima: 16 metri
circa
Colorazione generale: grigio
scuro
Testa: di grosse dimensioni
Pinna
dorsale: forma una cresta ondulata verso la coda
Soffio:
obliquo anteriore verso sinistra
Delfino comune
(Delphinus delphis)
Lunghezza massima: 2
metri circa
Colorazione generale: il dorso è grigio scuro,
il ventre di colore bianco. Sui fianchi è presente un peculiare disegno a
clessidra, la cui parte anteriore è di color crema.
Pinna
dorsale: medie dimensioni, triangolare con una leggera
falcatura.
Profilo: tozzo
Avarizia e Amore
Ho letto che l’avarizia è una malattia
ed incontrare un avaro è come incontrare un malato inguaribile, perché l’avaro
che non è consapevole di esserlo, bensì crede che sia un
valore……….
Un avaro che
risparmia su tutto, malgrado le sue possibilità economiche, è avaro anche in
amore.
Sono persone con
una mente ristretta, perché l’avarizia porta anche al risparmio
mentale.
A volte penso
…….. ma tutto questo risparmio, accatastare soldi dove credono di portarseli…
anche dentro la bara?
L’amore però è cieco, quindi il fatto di innamorarsi di
un avaro, sulle prime potrebbe essere cosa di poco
conto.
In fondo l’amore
non bada a spese, ma state tranquilli l’avaro sì, ci
bada…
Si dice che noi
genovesi abbiamo il braccino corto, ma questo signore era un piemontese di
Alessandria.
Nel mio
racconto vi parlo di una storia che io ho vissuto con un
avaro.
L’incontro è stato casuale, in un supermercato alla
cassa, lo sguardo è stato malandrino, il volto parlava per
noi.
Un bel signore, con
aspetto molto giovanile, distinto, con giacca e cravatta, mi garbava ed io non
sapevo come attaccare bottone.
Ho fatto cadere per terra una scatola della pasta, lui si
abbassa prontamente a raccoglierla e nel porgerla mi sfiora la mano… di
proposito.
Quel contatto
ha fatto vibrare di piacere il mio corpo, ma non sapevo a che cosa andavo
incontro…
Aveva il
potere di saper parlare erudito, mi piaceva ascoltarlo, sapeva molte cose ed io,
curiosa del sapere come sono, ero incantata.
Era un ex direttore di banca, vedovo, con figli
sposati.
Non nascondo
che ci ho fatto un pensierino.
Era un provetto ballerino di liscio, tutti ci guardavano,
specialmente quando si ballava il tango, mi aveva insegnato a farlo con i
passi.
I primi tempi mi
sentivo donna indipendente, quando lui, davanti alla cassa, mi porgeva la mano
aperta, segno che io dovevo pagarmi il
biglietto.
La vergogna
veniva dopo che nascondeva il cappotto per non pagare il guardaroba, finché il
proprietario glielo fece notare.
Lì non ti offriva il caffè, dovevi uscire, solo in un
Cral di anziani perché costava 20c di meno.
Mai in macchina, si usava sempre il bus ed ognuno si
pagava il suo biglietto.
Il bello viene quando c’è l’aumento di questo, il suo
suggerimento “si va a piedi”.
Avaro dentro, godereccio
fuori!
Gli piaceva
mangiare e io cretina lo invitavo.
Una volta, per contraccambiare il mio pranzo è arrivato
con dei fiori, certo mi sono meravigliata, ma non sapevo che li aveva presi alla
vicina, nel suo giardino, solo dopo che questa mi disse “hanno rubato dei
fiori”.
Il colmo della
sua avarizia “Ti porto a cena fuori, ma andiamo da un amico che mi fa lo
sconto”
Quando penso a
lui mi tornano alla mente i panni stesi al sole lavati dalle nostre nonne che
usavano il sapone di Marsiglia, era l’unico sapone che usava, sì perché un pezzo
dura anche un anno.
Ma
la mia rabbia era che era benestante, ma mentalmente un
poveraccio.
Non so come
ho fatto con il mio carattere a uscirci per un
mese.
L’esistenza
quotidiana con una persona avara diventa opprimente, deludente, priva di
luce.
L’avarizia è uno dei peggiori difetti
dell’uomo, è anche uno dei peccati capitali.
Io, che di natura sono generosa, mi stavo perdendo in un
inferno, sperando in un cambiamento, ma come si nasce si
muore.
Per fortuna il
mio buon senso è prevalso ed ho messo alla porta, felice di averlo fatto, quel
signore distinto, ma avaro.
Un consiglio a tutte le donne: povero in canna, ma con
il cuore grande!
Cara Francesca tu non sai quale emozione ha risvegliato in me il tuo bellissimo viaggio.
Si anch’ io sono stata in Norvegia, non da turista ma da operaia del baccalà.
Il mio racconto inizia nel lontano 1955. Io allora avevo 16 anni ed ero in cerca di lavoro.
Mi recai all’Ufficio di Collocamento, dove si
diceva che nella Darsena del porto di Genova cercavano operaie
stagionali per la lavorazine del baccalà”. Ci fu un
fuggi-fuggi generale, ma io non scappai e mi presentai. Mi dissero: “Allora
domani mattina vai in Darsena”.
Nata e vissuta a Genova non ero mai entrata in Porto; era pieno di uomini che, spesso, manifestavano la loro volgarità, e ciò succedeva anche al mio passaggio. Erano i Camalli (scaricatori) del porto. Uomini col gancio nella tasca posteriore dei pantaloni. Serviva loro per scaricare i sacchi di frumento o le balle di cotone.
La Darsena si trovava dove attualmente c’è il
Museo del Mare. Lì vi erano dei grandi magazzini alimentari e al molo vi
attraccavano i pescherecci.
Non ebbi
bisogno di informazioni nè di indirizzo per trovare il luogo in cui avrei dovuto
svolgere il mio lavoro. L’odore penetrante del baccalà mi fece da
batti-strada.
Un omone tipo Mangiafuoco
di Pinocchio, con una cadenza ultra genovese, mi accolse ed io iniziai la
giornata.
Il lavoro era stagionale, si lavorava a
cottimo, e per mesi non vidi la luce del giorno. Entravo al mattino alle 6 ed
uscivo alla sera alle 18. Era inverno, il magazzino si trovava al fondo ed era
totalmente privo di finestre.
Il mio
lavoro consisteva nello spellare i baccalà e fare i filetti per poi confezionare
le cassette e spedirle in tutto
il
mondo.
Ricordo quell’odore impregnante che mi rimaneva
sempre addosso, anche se mi lavavo a più non posso puzzavo sempre come un
baccalà. Come mi avvicinavo a qualcuno, si allontanavano tutti da me,
soprattutto i ragazzi.
Ma ce n’era uno
che non scappava, era il figlio del padrone. Lui mi faceva una corte spietata ma
a me non piaceva. Sembrava un Fantozzi, piccolo, grassottello con gli
occhiali.
Il padre sapeva tutto e non gli
dispiaceva affatto che il figlio mi corteggiasse. Ma io, a quell’età volevo
l’amore con la A maiuscola.
Con mia grande sorpresa, un giorno il padre mi
disse: “ti piacerebbe venire con noi in Norvegia a comprare il baccalà? Tu farai
la cuoca a tutto l’equipaggio”.
Chiese il
consenso di mio padre e si accordarono per una quota di 400mila lire. Parlo del
1955, a quell’epoca erano veramente soldoni!
Così, senza neppure rendermene conto, mi ritrovai ad
essere l’unica donna in mezzo a 10 uomini, tra capitano, equipaggio, il mio
pricipale e suo figlio.
L’ho paragonato a
Mangiafuoco perchè il suo modo di fare era burbero ma il suo cuore era grande.
Mi prese sotto la sua ala protettrice e guai a chi mi toccava.
Mi sentivo protetta vicino a lui e ha capito che i suoi
soldi non mi interessavano.
Giunse il giorno della partenza. Non ero mai salita a bordo di un
peschereccio, era tutto nuovo per me.
Per
prima cosa mi fu presentato il cuoco di bordo.
Che sollievo!!!!!!!!!!!!!!
Ho dovuto imparare presto il nuovo metodo di
cucinare a bordo. Innanzitutto, per restare in equilibrio, si doveva lavorare
con le gambe allargate. Si dovevano mettere panni bagnati sotto ogni oggetto per
non farlo scivolare. Si lavorava 12 ore al giorno.
A questo modo non mi accorsi neppure del luogo in cui mi
trovavo. Vedevo solo cielo e acqua.
Ma un giorno sentii la voce del padrone che, guardando con il cannocchiale, gridò “Bergen”.
Più tardi si attraccò al Porto. Uscii dal mio
buco perchè volevo proprio vedere questa nuova terra.
Ma siamo a casa di Biancaneve! Tante casette colorate con
la punta all’insù, che bello, ma è una favola !
La voce del padrone, purtroppo, mi riporta subito alla
realtà e mi ricorda che non sono una turista, ma una lavorante.
Si scende solo per comprare il baccalà e lo
Stockfisch.
Lui sapeva dove andare.
Raggiungiamo una collinetta, ci sono tanti filari, da lontano penso sia una
collina di viti. Macchè, è lo Stockfisch “steso” ad asciugare.
Si compra il tutto e si ritorna a bordo. Il giorno dopo si riparte: destinazione Genova.
In maniera molto diversa anch’io ho messo piede in Norvegia.
Alba
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