domenica 25 novembre 2012

articolo del corriere della sera


Siamo un popolo di semianalfabeti

Per 4 italiani su 10 Internet, tv e giornali sono incomprensibili

Possibile? Ci eravamo convinti di essere un popolo di santi, poeti e naviganti. E invece i santi cominciano a scarseggiare, naviganti lo diventiamo solo quando gareggia «Luna Rossa» e poeti neanche a parlarne. Anzi. Altro che pensare a sublimi sonetti o sofisticate costruzioni del lessico e dello stile. Qui il problema sembra essere quello di saper leggere e scrivere. Ebbene sì, siamo un popoli di analfabeti (o semianalfabeti). Altro che sommi poeti. Basta leggere i dati pubblicati dall' Ulna (Unione nazionale lotta all' analfabetismo) per rendersi conto delle incredibili proporzioni del fenomeno. Il 39,2% degli italiani adulti rientra nella categoria degli analfabeti, quelli che possono vantare al massimo una licenza elementare. «Per la verità l' esatta definizione dovrebbe essere quella di semianalfabeti - precisa Saverio Avveduto, presidente dell' Unla e autore del saggio "Volare senz' ali" dedicato all' argomento -. Infatti rientra in questa categoria anche chi ha un titolo di studio ma non lo esercita da più di cinque anni. Dopo un simile lasso di tempo, se non si esercita ciò che a suo tempo abbiamo imparato, è accertato che si regredisce al titolo di studio precedente». Quali rimedi esistono per arginare l' ignoranza che avanza? «Avviare ciò che finora in Italia non ha avuto successo: una strategia di formazione permanente». In che cosa consiste? «Vuol dire non abbandonare a se stessi gli studenti che hanno raggiunto un titolo di studio. Tutti i Paesi nordici, la Germania, i Paesi Bassi, la Gran Bretagna puntano sulla formazione permanente e quasi sempre si servono dell' apporto della televisione pubblica. Non possiamo pretendere che l' adulto torni a scuola e si ricordi quando è nato Giulio Cesare. Però possiamo fare in modo che la tv di Stato mandi in onda dei programmi educativi (sul modello inglese della Bbc) che servano a rispolverare o a tenere in vita le nozioni imparate dagli adulti nel loro percorso scolastico». E l' università quale ruolo dovrebbe avere in un simile scenario? «Dovrebbe formare adragogisti, formatori di adulti e non solo pedagogisti. La struttura universitaria dovrebbe creare i docenti per adulti, individuare i bacini d' utenza e indicare alla Rai i contenuti per una didattica televisiva». Potrebbe essere questa la strada per recuperare anche competitività economica? «Senza istruzione e ricerca la la produzione economica non ha slancio nè futuro. E noi in tal senso non siamo certo messi bene. Basti pensare che nazioni come il Lesotho, la Nigeria e la Tunisia investono più di noi nella formazione culturale. E negli ultimi dodici mesi il nostro Paese è sest' ultimo sui trenta presi in esame. Se non invertiremo la rotta, tra breve saremo superati anche da altri Paesi che sono in netto progresso». Come se non bastasse, a rincarare la dose ci ha pensato anche il ministro dell' Innovazione e delle tecnologie, Lucio Stanca quando ha dichiarato che «due terzi dei cittadini non frequentano le nuove tecnologie e non sono in grado di usarle procurando al Paese, in termini di mancanza di competitività, stimato in 15,6 miliardi di euro all' anno». Non staremo pensando di farci rimborsare dai semianalfabeti

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