venerdì 22 marzo 2013

Il fai  a scelto per le sue giornate a Genova una meravigliosa villa Villa Durazzo Pallavicini

Un Museo, un Parco e un Orto botanico costituiscono il prestigioso complesso di Villa Durazzo Pallavicini, situato a Pegli, una delle meraviglie di Genova a cui dedicare una visita

E’ stupefacente la quantità di “bellezza” nascosta e ignorata agli occhi dei più per colpa del “cilicio virtuale” che accompagna la vita di noi Genovesi.
Afflitti da un morbo che definirei come “pigrizia socio-culturale congenita”, che si insinua nel carattere e sfocia nella misoginia, facciamo quotidianamente lo slalom tra le meraviglie che farebbero la felicità di mezzo mondo per notare solo la parte mezzo vuota del bicchiere.
Scendiamo in strada a decine di migliaia per i baccanali delle varie “notti bianche” e “capodanni in piazza”, per poi ad esempio ignorare che abbiamo la cinta muraria, in stato di semiabbandono, più ampia e imponente dopo la “Grande Muraglia Cinese” e una storia fatta di primati che per certi aspetti non ha eguali al mondo.
E pur avendo molte colpe nella gestione della comunicazione e immagine (basti sentire i commenti dei visitatori che puntalmente ti dicono “Genova è bellissima, non avrei mai immaginato…”) la pubblica amministrazione non è certo colpevole se noi per primi ignoriamo e snobbiamo il bello che ci circonda.
Uno dei tanti esempi di ciò che sostengo è il complesso di Villa Durazzo Pallavicini a Genova Pegli, che collocato vicino alla stazione ferroviaria, si sviluppa su per la collina della delegazione e ha origine con la Villa Nobiliare di G.B. Grimaldi, Doge della Repubblica di Genova dal 1752 al 1754, ma è al marchese  Ignazio Pallavicini, erede del patrimonio dei Grimaldi-Durazzo, che si deve il regalo di uno dei più alti esempi di giardino romantico ottocentesco esistenti in Italia ed Europa.
Nel parco troviamo anche l’ orto botanico “Clelia Durazzo” realizzato nel 1794, e all’ interno della villa il Museo Archeologico.
Il parco venne realizzato tra il 1836 e il 1846,  partendo dalla scoscesa collina e utilizzando l’opera quotidiana di circa 500 operai, la sua progettazione venne affidata all’ architetto e scenografo del Teatro Carlo Felice, Michele Canzio.



Studiato come un’opera teatrale a ruoli invertiti, lo spettatore non aspetta i cambi di scena ma li vive spostandosi lungo il percorso che prevede un’Opera in tre atti. Sposando la nuova tendenza europea definita Romanticismo, nella progettazione vengono abbandonate le simmetrie delGiardino all’ Italiana e attraverso percorsi irregolari e l’ utilizzo di strutture quali ruderi, costruzioni rustiche, terreni accidentati come scenografie, si pone l’ uomo al centro della scena quale collegamento tra paesaggio e architettura

Nessun commento:

Posta un commento